Propongo di riaprire i Casi di Intolleranza

La risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto è 42, per tutto il resto c’è un test di intolleranza alimentare.

Alito cattivo? Fai un test d’intolleranze!
Eruzione cutanea? Fai un test di intolleranze!
Sarà il tipo giusto per me? C’è un test d’intolleranze anche per questo…

Mi ricompongo, scusate, e ricompongo pure il quadro della situazione.

Le intolleranze alimentari esistono: sono reazioni avverse che seguono l’ingestione di uno o più alimenti in assenza di meccanismi immunologici, sono riproducibili e dose dipendenti.
Le vere intolleranze alimentari, rarissime a parte quella al lattosio, si diagnosticano a partire dalla sintomatologia e solo per alcune (difetti metabolici quali fruttosemia, alterazioni del metabolismo degli acidi grassi e degli aminoacidi) esistono specifici test eseguibili in centri di ricerca altamente specializzati.
Per  le altre la causa non è sempre identificabile, così come il meccanismo da indagare per individuarle, per cui l’anamnesi resta l’unico strumento diagnostico.

Tra le manifestazioni più frequenti delle intolleranze ci sono nausea, meteorismo, diarrea, cefalea,  sonnolenza, reazioni cutanee, riniti, ritenzione di liquidi;  si tratta di disturbi presenti nella popolazione, sintomi generici che possono avere le più disparate cause, e che tendono a diventare cronici.
Chiaro che, se la domanda del paziente è quella di capire come risolvere tali disturbi, e se la Nutrizione Clinica, quella fatta col metodo scientifico (lavori metodologicamente corretti, dai risultati replicabili in più centri indipendenti, che producono teorie valide solo fino a prova contraria secondo il principio della “falsificabilità” della scienza di Popper)  sembra non dare sufficienti risposte, più che altro non sbrigative, esiste un ampio terreno in cui teorie tutte da verificare crescono rigogliose e libere dalla necessità di essere convalidate. E danno vita ai test d’intolleranza alimentare.
Annoveriamo il Dria test, il Vega test, il SAFT (skin application food test) il Kondo test, ALKAT test, il test di provocazione intradermica o sublinguale, il test di Coca, il Cito Test, l’Elisa test, passando anche per l’analisi del capello, dell’iride, dei riflessi.

Nemmeno il test d’intolleranza basato sulla ricerca delle IgG4, che vedrebbe queste ultime come mediatori delle reazioni avverse, riconducibili soprattutto alla sindrome del colon irritabile, è supportato da evidenze scientifiche certe ad oggi.

Ognuno col suo meccanismo presunto, ognuno con la sua risposta da dare, ma se a nessuno dei suddetti test viene riconosciuta validità scientifica, come orientarsi nella scelta, se non in base al grado di fascinazione che la teoria produce?
Però questi test si continuano a fare e continuano a sfornare risposte.

E scusate se premetto banalmente che nelle indagini, soprattutto quelle mediche, sono più importanti le domande che le risposte, ma poi una si trova davanti come paziente una giovane donna vessata dai sintomi di un reflusso gastroesofageo da 2 anni che, dopo la diagnosi, venne spedita a fare il test di intolleranze IGg4 per approntare una terapia.
Nessuno le chiese cosa mangiava, nessuno si preoccupò del suo stile di vita: la risposta certa e “personalizzata” l’avrebbe avuta dal test.
Sorvolerò sul fatto che le venne diagnosticata un’intolleranza al glutine e le fu consigliato di abbandonare il frumento a favore del kamut (che il glutine ce l’ha), ma se qualcuno all’epoca avesse “perso” 10 minuti del suo prezioso tempo a fare un’anamnesi alimentare, avrebbe scoperto che assumeva 6 caffè al giorno, che come condimento per la pasta utilizzava il pomodoro quasi ogni giorno e che aveva smesso di fare sport qualche mese prima.
Abitudini rimaste inalterate – come del resto i sintomi – per ben due anni, nonostante l’arcinota, ma efficace, dietoterapia per il reflusso gastroesofageo preveda l’eliminazione o la netta limitazione del caffè e degli acidi deboli come quelli del pomodoro, e nonostante nel caso dei disturbi all’ apparato digerente sia sempre importantissimo consigliare una moderata attività fisica per eliminare lo stress che facilmente viene somatizzato a quel livello.

È un caso esemplificativo di come i test diventino inutili ovvero dannosi se non vengono collocati al loro posto, che non può certo essere quello di fonte prima e preferenziale di terapia, pena il rischio di prescrizioni di regimi alimentari incongrui e possibile ritardata diagnosi e risoluzione di patologie.
E dobbiamo diventare selettivi noi, perché considerando il costo per il singolo (costo dell’esame, mai esiguo, e di eventuali alimenti particolari) e per la collettività (adeguamento della ristorazione collettiva a presunte intolleranze), gli interessi economici che gravitano attorno a questi test non li porteranno facilmente fuori moda.

…quindi a pensarci bene un risultato riproducibile e quindi scientificamente provato di questi test c’è, anche Popper concorderebbe: è il beneficio economico alle tasche di chi li propone.
E allora riapriamoli questi casi di intolleranza, e dentro troveremo il vero responso: So long, and thank you for all the cash.

 

 

foto: un celeberrimo ritratto di Douglas Adams reinterpretato. Scusa Douglas.