La mia non è proprio fame

L’elevata assunzione di dolci nella propria alimentazione rappresenta uno dei maggiori ostacoli al mantenimento del peso o, se siamo alle prese con un regime dimagrante, alla perdita di grasso.
Gli “sweet eaters” dichiarano di sentire un bisogno irrefrenabile di mangiarli, e io spiego loro che non si tratta di un bisogno, ma di una dipendenza che si instaura a più livelli.

Gusto. Il gusto dolce è un gusto marcato, estremo. Il consumo abituale di dolci rischia di non far percepire e apprezzare i gusti più neutri degli alimenti naturali. Per questo motivo la mia preferenza ricadrà più facilmente sugli alimenti molto zuccherati. Questo livello di dipendenza è particolarmente insidioso nei bambini perché, non avendo una sovrastruttura di regole di corretta alimentazione, sono in balia delle loro voglie alimentari.

Buon umore. L’’assunzione di dolci aumenta la produzione di serotonina, l’ormone del buonumore. Si tratta di una sostanza talmente efficace sull’umore che molti antidepressivi agiscono facendola restare in circolo più a lungo. L’assunzione frequente di dolci provoca lo stesso effetto: riporta in alto il livello della serotonina. Per questo si è indotti ad assumerne ancora.

Fame del cervello. L’assunzione di dolci si associa ad una certa instabilità dello zucchero nel sangue, con picchi verso l’alto e verso il basso. Quando la glicemia si abbassa il cervello va in allarme e si scatena una fame difficile da controllare, perché nasce dall’emergenza di riportare alla normalità il livello di zucchero, e spesso selettiva verso altri alimenti che contengono zuccheri, perché sono i nutrienti che fanno risalire la glicemia più rapidamente.

Flora batterica intestinale. un’alimentazione ricca di zuccheri rende l’ecosistema intestinale un ambiente favorevole alla proliferazione di specifici ceppi di flora batterica. Quest’ultima, per garantire la propria sussistenza, invia neurotossine al cervello inducendolo a introdurre altri zuccheri per mantenere l’ambiente adatto alla propria sopravvivenza.

La buona notizia è che l’eliminazione dei dolci per un paio di settimane (che tutto sommato è un tempo limitato che rende l’astinenza sostenibile) è sufficiente a neutralizzare tutti i meccanismi di cui sopra, riducendo la spinta compulsiva verso i dolci e restituendo il controllo.

A questo punto si possono reintrodurre nell’alimentazione seguendo queste semplici regole:
• Vanno inseriti nel momento della giornata in cui creano più appagamento e meno disinibizione (perdita di controllo).
• Va creata una ritualità attorno all’assunzione del dolce che amplifichi la soddisfazione nel mangiarlo e che richieda
anche un certo tempo di preparazione.
• Va stabilita a monte la quantità, perché come ogni sostanza che dà dipendenza, tende a creare anche assuefazione.
• Va identificato il dolce che si vuole: il desiderio di zuccheri generico è insidioso da soddisfare.

L’unico caso in cui queste strategie non funzionano è quando prevale la componente psicologico-comportamentale alla base dell’abitudine di introdurre il cibo dolce: modulare stati emotivi negativi attraverso l’introduzione di cibi dolci crea un potente automatismo che verrà riprodotto nel tempo.
Quindi fintanto che permarranno gli stati emotivi negativi, e io non troverò una strategia diversa dalla sedazione attraverso i dolci per fronteggiarli, resterà in piedi la dipendenza. In questo caso bisogna affiancare delle strategie comportamentali o una psicoterapia specifica.

foto: Jeanne Hebuterne mentre dice che la sua non è proprio fame, ma più voglia di qualcosa di buono