Giornata Nazionale del FIocchetto Lilla
“…ma gli amici che tanto ti stimano sanno che hai sofferto di un disturbo alimentare? Perché questo dirà pur qualcosa su che persona sei”. Questo si è sentita dire una paziente durante una discussione con una persona a lei vicina.
Cosa racconta un disturbo alimentare della persona che ne è affetta? (Userò il femminile perché la paziente in questione è femmina, ma altrettanto vale per gli altri generi).
Che è fissata con la magrezza o con l’aspetto fisico? Che non pensa alle cose importanti della vita? Che non è una brava madre o figlia, o amica, o compagna? Che si crea problemi da sola? Che è ossessionata dai chili in più? Che è una depressa? Che non ha forza di volontà e per questo motivo si abbuffa di cibo? Che è un pozzo senza fondo? Che vuole attirare l’attenzione? Che il problema è il rapporto con sua madre? Che è vuota? Che non ha carattere? Che non è equilibrata? Che ha subito un trauma? Che non è affidabile?
Nulla di tutto questo, perché il disturbo alimentare, qualunque esso sia, non è una scelta: è una malattia.
E non viene proprio capito, altrimenti non si spiega perché nei confronti di tutte le altre patologie scatti istintivamente un atteggiamento rispettoso, mentre il disturbo alimentare non goda di questo privilegio e rimanga incastrato nello stigma sociale, al più nella melassa del sentimentalismo.
Invece si tratta di una patologia fatta di meccanismi psico-fisiologici che si autoalimentano in modo talmente complesso che è impossibile illustrarli tutti nello spazio di un articolo. Ne scelgo uno a titolo esemplificativo: la sindrome da digiuno.
Risale al 1954 il Minnesota Study, uno studio scientifico sui sintomi da digiuno svolto su un gruppo di giovani minatori.
Venne loro somministrato un regime alimentare restrittivo e indotto un dimagrimento importante.
Tutti mostrarono una serie di drammatiche modificazioni fisiche, psicologiche e sociali, tra cui l’ossessione per il cibo, l’iper-controllo dello stesso, l’occasionale introito compulsivo di alimenti, il precoce senso della sazietà.
Con ogni probabilità dei giovani minatori non avevano nulla da guadagnare da uno stato di denutrizione che avrebbe messo a rischio la forza necessaria a svolgere il loro pesante lavoro, per cui dallo studio si evince che il solo fatto di essere dimagriti attraverso una restrizione alimentare, indipendentemente dal motivo iniziale, tendeva a far mantenere sia il comportamento di restrizione alimentare (a causa dell’iper-controllo sul cibo), sia il basso peso (per via del precoce senso di sazietà).
Anche solo questo aspetto rende chiaro come un disturbo alimentare possa colpire chiunque. Il caso per me più eclatante fu quello di una paziente che aveva perso molto peso a causa di massicce dosi di chemioterapia: lei associava quella magrezza estrema al momento buio della malattia e voleva recuperare il suo peso, ma non ci riusciva da sola perché il disturbo alimentare è potente e subdolo.
La malattia non racconta nulla delle persone che ne soffrono, ma queste ultime raccontano molto di sé attraverso il coraggio e la forza con cui affrontano il doloroso percorso di guarigione, e meritano rispetto.